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"C’È UN MISTERO, IN UN GESTO COSÌ, C’È UNA FERITA, CHE CHIEDONO SOLO

DI ESSERE ASCOLTATI”

Come ci ha toccato quanto accaduto all'università IULM!

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Abbiamo aspettato e riflettuto tanto prima di esprimerci in merito a quanto accaduto alla Iulm, dove una studentessa di 19 anni si è tolta la vita lo scorso 1 febbraio.
Questa esitazione nasce dall’incapacità di trovare delle parole adatte: per quanto si leggano dappertutto possibili soluzioni, giustificazioni o lamentele, la verità è che noi di quanto successo a questa ragazza non possiamo davvero conoscere le ragioni. Come ha scritto il Rettore dell'Università IULM, "c'è un mistero in un gesto così, c'è una ferita, c'è un dolore così grande, che chiedono solo di essere ascoltati, con rispetto, nel silenzio". In questo senso, non sappiamo che cosa stia davvero dietro a questo gesto, non sappiamo se qualcosa avrebbe potuto evitarlo. 

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Di fronte a questo dramma, spesso si riscontrano due posizioni: quella di chi si erge a giudice della situazione, riducendo il gesto compiuto ad una colpa del “sistema”, e prospettando la soluzione in un qualche tipo di cambiamento (pur necessario); e, dall'altra parte, la posizione di chi confonde la necessità profonda con un bisogno immediato. Quanto accaduto ci sembra infatti manifestare una necessità che non si esaurisce in quell'ultimo gesto, quella stessa necessità che, in modi che possono essere diversi per ognuno, riscontriamo quotidianamente nella nostra vita: è la domanda di un senso, il bisogno che ci sia nella nostra vita qualcosa per cui valga la pena. E possiamo dire, riflettendo sulla nostra semplice esperienza, che a rispondere a questa urgenza non sarà mai, purtroppo o per fortuna, soltanto il cambiamento dell’università (o della società). 

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D’altro canto, ci sembra che questo episodio, con il dibattito che ha provocato, sia l’occasione per riguadagnare un modello di università più fedele alla natura e alla vocazione di quest’ultima, un modello che sia un’ipotesi di strada nella quale poter convivere con questa domanda di senso – sia pur nella consapevolezza, già accennata, che qualunque cambiamento sul piano istituzionale resta insufficiente a rispondere al dramma umano. 

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L’Università, luogo di formazione ancor prima che di insegnamento, non può più consistere nella richiesta di una performance o nell’erogazione di un contenuto, ma crediamo debba piuttosto farsi maestra e compagna nella ricerca del senso delle cose. E, a partire dalla nostra esperienza – la stessa che ci spinge a voler esserci come rappresentanti e in prima linea nella nostra Università –, possiamo dire che l’Università può essere questo solo se favorisce l’incontro, il dialogo, il rapporto tra studenti e con i professori, a cui si chiede di ritornare ad essere maestri di questa ricerca, facendo sì che la relazione diventi il cuore pulsante della ricerca e dello studio. Ed è solo in una dinamica di rapporto che l’Università può tentare di offrire una strada perché ciascuno possa inoltrarsi nella ricerca del senso delle cose. Ci sembra questo l’unico ruolo dell’Università di fronte a questo dramma.

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Ci teniamo a concludere esprimendo come questo giudizio non voglia porsi come una risoluzione ma voglia piuttosto tracciare una strada secondo la quale la vita universitaria possa centrare e convivere con quella domanda che oltrepassa ed è irriducibile a quanto abbiamo scritto: in che cosa trova davvero valore la nostra vita?

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